Combattere l'inquinamento del fast fashion

Sottoposto a fact-checking
fast fashion

BREVE RIASSUNTO-

  • Con diverse strategie si può ridurre l'inquinamento tessile: basta affittare i vestiti, comprare moda prodotta in modo responsabile e fare attenzione a donare abiti usati dove c'è più bisogno
  • La sovrabbondanza di abbigliamento a buon mercato guidata dalla domanda dei consumatori ha colpito anche l'industria dell'abbigliamento di seconda mano in Kenya e Ghana, come riportato da CBC e ABC News Australia. La qualità degli articoli donati è così scarsa che si stima che il 40% di ciò che arriva in Ghana vada direttamente in discarica
  • Anche se la capitale del Ghana può smaltire 2.000 tonnellate metriche di rifiuti ogni giorno, la città ne produce quasi il doppio: i rifiuti tessili sono stimati in quasi 6 milioni di capi ogni settimana

Del Dott. Mercola

Potresti aver sentito parlare di shopping come "terapia", basandosi sul fatto che comprare vestiti e altri oggetti, specialmente nuovi, può far sentire meglio. Durante il lockdown c’è stato un aumento dello shopping online, che, con l’isolamento, poteva sembrare l’unica cosa da fare.

Ad ogni modo, la terapia dello shopping può creare diverse problematiche. Molte delle emozioni positive che si provano comprando nuovi vestiti svaniscono rapidamente, mentre resta il peso in eccesso sulla carta di credito e nell'armadio dei vestiti. In più, magari non hai mai pensato a dove vanno i tuoi vestiti dopo averli donati.

Sfortunatamente, molti vestiti donati non finiscono per essere indossati da persone bisognose e fanno un lungo viaggio. I vestiti donati, provenienti da paesi come Stati Uniti e il Regno Unito vengono impacchettati e spediti a tonnellate nei paesi in via di sviluppo come il Ghana.

Questo è diventato il vero costo del "fast fashion" e dell'abbigliamento economico. In un recente rapporto investigativo di ABC News in Australia, il giornalista Linton Besser ha documentato un suo viaggio in Ghana, dove ha imparato di più sullo sporco segreto dietro la dipendenza dalla moda del mondo: “i vestiti dell'uomo bianco morto".

Quando si tratta di fast fashion, la sovrabbondanza di vestiti a buon mercato prodotti da aziende il cui unico obiettivo è quello di creare domanda per i loro articoli e aumentare il proprio fatturato, non ha solo contribuito al problema dei rifiuti globali, ma può esserne uno dei principali responsabili. Nel 2014, gli americani hanno comprato il 500% in più di vestiti rispetto agli anni '80 e i canadesi il 400% in più.

Gli esperti, analizzando i dati del 2018 hanno stimato che l'85% dei vestiti donati non è stato indossato da altri ma, al contrario, è finito in discarica. Dato che molti di questi tessuti sono fatti di fibre sintetiche e non si degradano facilmente, l'abbigliamento è diventato rapidamente il più grande problema di rifiuti globale.

Anche se il problema è significativo, ci sono opzioni potenzialmente efficaci che potrebbero aiutare a ridurre l'inquinamento e alcune che continueranno ad alimentare lo stato emotivo che si ottiene con nuovi vestiti. Prima, però, di discutere queste idee innovative, scopriamo perché è fondamentale per tutti noi cambiare il modo in cui compriamo, indossiamo e smaltiamo i vestiti.

I rifiuti tessili sono un problema in crescita

Secondo le statistiche, sembra che la donna media possieda 30 abiti, un gorsso aumento rispetto ai nove degli anni '30. Nel 2015, l'industria dell'abbigliamento statunitense era un business da 12 miliardi di dollari, costruito su famiglie che spendevano 1.700 dollari in vestiti ogni anno. Gli esperti hanno stimato che nel 2019 il valore del mercato dell'abbigliamento era balzato a 359,9 miliardi di dollari (300 miliardi di euro).

L'importo in dollari speso ogni anno non è finanziariamente significativo, ma dato che il fast fashion è economico, rappresenta un volume crescente di prodotti tessili, il che significa anche che c'è un crescente volume di rifiuti. Dove vanno a finire tutti questi rifiuti?

Recentemente, ABC News Australia ha seguito il viaggio dei vestiti donati dal Regno Unito, dagli Stati Uniti e dall'Australia per le strade del Ghana, dove ogni settimana arrivano quasi 15 milioni di indumenti usati, che inondano il mercato dell'abbigliamento della città. Probabilmente perché molti dei vestiti che vengono donati oggi sono stati realizzati a buon mercato e venduti a buon mercato, si stima che il 40% di ciò che arriva vada direttamente in discarica.

L'articolo racconta la storia di una giovane donna, Aisha Iddrisu, che è diventata una "facchina con cercine" alla tenera età di 12 anni. Si tratta di donne che trasportano balle di vestiti da 55 chilogrammi sulla testa per il bazar e gli stretti passaggi dove i veicoli meccanici non possono viaggiare. Non riuscendo a trovare lavoro nel suo villaggio remoto, la donna si è trasferita ad Accra, la capitale del Ghana, con il suo bambino di 18 mesi per guadagnare soldi per la sua famiglia.

Come si può immaginare, tenere in equilibrio 55 kg sulla testa è pericoloso, e molti si feriscono. Il commercio di vestiti di seconda mano è cresciuto ad Accra, come in Kenya dove Agro segue il viaggio di altri vestiti usati nel video qui sotto (disponibile solo in inglese). Ecco come un commerciante del Ghana descrive l'industria:

"Diciassette anni fa [quando ho iniziato] andava bene, ma ora quello che stanno portando in Africa, in Ghana... stanno continuando a ridurre la qualità che ci veniva data. Ora è tutto pessimo".

(Disponibile solo in Inglese)

Cosa succede ai vestiti che doni?

Besser descrive il mercato di Accra, dicendo che "ogni centimetro libero di marciapiede sembra occupato da un venditore ambulante, un nuovo lotto di vecchi vestiti piegati e appesi tra le loro merci. Li chiamano "obroni wawu": i vestiti dell'uomo bianco morto".

Gli importatori possono pagare fino a 95.000 dollari per un container di vestiti, a scatola chiusa. Quasi 60 container di vestiti vengono consegnati ad Accra ogni settimana. Molte volte i vestiti in quei container sono strappati, macchiati o non indossabili, e se molti sono così, l'importatore può aver perso i suoi soldi.

Il numero crescente di abiti di bassa qualità e il volume puro di abiti prodotti sono i maggiori responsabili della crisi dei rifiuti in Ghana e in altre aree del mondo dove l'abbigliamento riciclato è un grande business. Oltre ad alimentare il desiderio della gente di comprare di più, l'industria dell'abbigliamento continua ad alimentare nuove linee di moda nei negozi quasi ogni settimana.

Quelle che una volta erano linee di abbigliamento primavera/estate e autunno/inverno, sono diventate una vera e propria linea di produzione di abiti di bassa qualità e poco costosi, che i produttori usano per rispondere alle mutevoli tendenze. Besser ha intervistato Liz Ricketts, un'attivista americana per i rifiuti della moda che ha anche documentato il disastro tessile in Ghana per quasi un decennio.

Anche se i rifiuti fanno parte della moda, e "molte marche producono in eccesso fino al 40%", dichiara, lei crede anche che i consumatori sono "in qualche modo complici" spiegando:

"Abbiamo deciso che la convenienza è un diritto umano e pensiamo che quando andiamo a fare shopping dovremmo sempre essere in grado di trovare esattamente quello che vogliamo. Dovremmo trovarlo nella nostra taglia e nel colore che vogliamo. Anche questo contribuisce a questa sovrapproduzione".

Besser fa notare che l'Australia non ha le stesse vendite al dettaglio di abbigliamento degli Stati Uniti o del Regno Unito, ma su base pro capite è seconda solo agli Stati Uniti. Dei 60 container di vestiti che arrivano ogni settimana ad Accra, circa 6 milioni di capi partono come rifiuti. Anche se la capitale del Ghana, Accra, può trattare 2.000 tonnellate metriche di rifiuti ogni giorno, la città ne produce quasi il doppio.

Besser riferisce che durante la stagione dei monsoni, l'acqua in eccesso lava "un volume incalcolabile di vestiti nella rete medievale di fogne aperte della città. I tessuti soffocano il sistema di drenaggio della città e favoriscono le inondazioni. Le zanzare si riproducono, le malattie prosperano".

Una volta che i tessuti raggiungono il mare, il materiale più pesante scende sul fondo, dove si impiglia e poi sale, formando lunghe braccia di tessuto che Ricketts chiama "tentacoli". Dice che possono essere lunghi tra i 2,5 e i 9 metri, e a volte sono larghi fino a 1 metro.

Noleggiare i vestiti può essere la risposta?

Anche se l'idea di affittare dei vestiti sembra nuova, affittare smoking e abiti da sposa viene fatto da decenni. L'incentivo è quello di pagare un prezzo per indossare abiti che si possono indossare solo una o due volte nella vita. Una squadra di ricerca, però, sta valutando se le persone possono essere pronte a rinunciare a possedere il loro guardaroba e ad affittarlo.

La volontà dei consumatori di noleggiare i vestiti, conosciuta anche come "consumo collaborativo di abbigliamento", è stata testata utilizzando i sondaggi tra i consumatori della Gen Z. Si tratta di un modello di business che i ricercatori descrivono come "fornire ai consumatori la possibilità di concentrarsi sull'uso dei loro prodotti invece che sulla proprietà".

Il team ha intervistato 362 adulti nati tra il 1997 e il 2002. Gli autori hanno scoperto che la generazione Gen Z vuole essere alla moda, ma potrebbe non preoccuparsi di possedere i prodotti che usa. Dopo aver valutato altre indagini recenti, gli autori hanno scoperto che la sostenibilità è una forza trainante negli attuali modelli di acquisto e nella fedeltà dei clienti, specialmente tra i consumatori della Gen Z.

Il sondaggio ha cercato di identificare i fattori che possono influenzare l'uso di un servizio di noleggio di abbigliamento da parte di un consumatore. Dopo aver analizzato i risultati, i dati hanno mostrato che l'atteggiamento dei consumatori della Gen Z ha contribuito a mediare l'intenzione di utilizzare un servizio di noleggio.

È importante però ricordare che alla base dell'idea che l'abbigliamento possa essere noleggiato e usato più volte, c'è il fatto che l'abbigliamento sia ben fatto e durevole. Questo significa che, per passare da un'economia in cui le persone possiedono i loro vestiti a una in cui il noleggio diventa normale, i produttori dovranno anche passare dal fast fashion alla qualità.

La campagna per prendersi cura di ciò che si indossa

Un materiale resistente non può essere l'unico criterio per sviluppare una moda che non abbia un impatto negativo sul pianeta. In parole povere, è importante iniziare a preoccuparsi del materiale e il lavoro che c'è dietro l'abbigliamento che compriamo e indossiamo. Il vero movimento di sostenibilità nella moda è che l'abbigliamento che indossiamo faccia del bene nel e per il mondo. Marci Zaroff, fondatrice del primo stabilimento tessile organicamente certificato negli Stati Uniti, lo spiega così:

"Non si tratta solo di avere un bell'aspetto indossando degli abiti. Si tratta di sentirsi bene e di fare del bene nel mondo, quindi quando pensiamo a preoccuparci di ciò che stiamo indossando, si tratta di andare più a fondo e chiederci da dove viene questa fibra, come viene coltivata, dove viene fatta, chi la produce.

Non è molto diverso dal movimento Farm to Table, dove la gente si chiede: 'Da dove viene il mio cibo? Come viene coltivato e prodotto?'... Ci stiamo risvegliando alla nostra fonte interna. Ci stiamo risvegliando a quel desiderio di sapere cosa mettiamo nel e sul nostro corpo come un'estensione di noi stessi.

Non è solo ciò che si mangia. È anche ciò che indossi che è una parte di te. Dobbiamo pensare alle fibre non diversamente da come pensiamo al cibo".

Il risultato di questo è che i vestiti fatti responsabilmente, con coloranti non tossici (o senza coloranti) e materiali ecologici, sono anche molto piacevoli. C'è una vera differenza di qualità e quando un capo d'abbigliamento è di qualità superba, l'impulso di gettarlo dopo pochi usi è molto diminuito. Infatti, i capi di alta qualità spesso migliorano con l'uso, invece di trasformarsi in un pasticcio deformato, scolorito, mal adattato e logoro dopo pochi lavaggi.

Come puoi fare parte della soluzione?

La soluzione ai vestiti usa e getta inizia da consumatori che cercano vestiti di alta qualità e fatti in modo sostenibile, che siano curati e indossati molto più a lungo di quanto possa fare il fast fashion. Purtroppo, anche se molti grandi marchi di moda hanno promesso di riciclare i vestiti, la tecnologia per separare le fibre in grandi quantità e tesserle di nuovo insieme in un nuovo prodotto non è ancora disponibile.

Secondo Elizabeth Cline, autrice, giornalista ed esperta di fast fashion e sostenibilità, "la realtà è che attualmente solo l'1% circa dei vestiti viene effettivamente riciclato nel senso letterale della parola".

Claudia Marsales, responsabile dei programmi per i rifiuti di Markham, Ontario, definisce le affermazioni sui vestiti riciclati "una forma di greenwashing". Continua dicendo: "Per far sì che una catena di fast fashion ricicli ciò che produce, ci vorrebbero 12 anni per riciclare ciò che vende in 48 ore".

In breve, il modello industriale è la radice del problema e il riciclaggio è un modo semplice per far apparire l'industria responsabile senza alterare il modo in cui opera. La soluzione principale dovrebbe essere ovvia. Spetta ai consumatori fare un cambiamento sul mercato comprando meno e comprando solo ciò che è necessario.

Questo permette di spendere di più per oggetti di alta qualità che sono ben fatti e facilmente utilizzabili per anni. Quando qualcosa in buone condizioni non si adatta più al tuo corpo o al tuo stile di vita, cerca nella tua cerchia di amici e familiari persone che potrebbero averne bisogno. Anche i rifugi per donne e i centri di crisi locali possono accettare donazioni.

Enti di beneficenza rispettabili che servono i bisogni della tua comunità locale, come la tua chiesa locale, possono aiutare a distribuire i vestiti ai bisognosi della tua comunità. Alla fin fine, la risposta alla riduzione dei rifiuti globali sta in ogni individuo che fa la sua parte per ridurre il suo consumo totale.